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So di risultare molto impopolare, però ...
uno studio appena pubblicato mostra che, dal 1970, il volume di aiuti ricevuti dai Paesi in via di sviluppo è stato inversamente proporzionale alla crescita di questi ultimi. Meglio: che gli aiuti hanno frenato lo sviluppo, sono stati controproducenti. L’economista svedese Fredrik Erixon, autore dello studio, ne è convintissimo.
Secondo Erixon, la ragione per la quale, dopo decenni di dichiarazioni di buona volontà e 400 miliardi di dollari di sostegno occidentale, l’Africa resta in condizioni economiche e sociali pessime è che gli aiuti non funzionano quando si è fortunati, fanno del male nella maggior parte dei casi. A poche settimane dal G8 di luglio in Scozia, che avrà al centro delle discussioni la lotta alla povertà, e a pochi giorni dalle marce e dalla serie concerti di beneficenza, previsti in tutto il mondo, che lo accompagneranno, questo è l’attacco finora più forte alla Rock Star Economics , quel complesso di teorie rese popolari da musicisti e attori che sostengono la necessità di raddoppiare subito gli aiuti ai Paesi più poveri. «Gli economisti-rock star vedono il mondo attraverso occhiali rosa - sostiene Julian Morris, direttore dell'International Policy Network (Ipn), l’istituto britannico che ha pubblicato l’analisi -. La loro convinzione che gli aiuti vadano a beneficiare i poveri è mal posta. La realtà è che gli aiuti premiano il fallimento e rafforzano regimi che diversamente sarebbero stati fatti fuori».
I dati portati da Erixon mostrano che via via che gli aiuti all’Africa aumentavano dal 5% del Pil continentale (1970) al 18% (1995), la crescita del Pil pro-capite crollava dal 15-17% a negativa; per riprendere a metà Anni Novanta quando gli aiuti sono tornati a calare. Lo studio sostiene che se i governi occidentali facessero come richiesto da Jeffrey Sachs, l’economista che ha studiato la strategia Onu per eradicare la povertà, e come proposto dal primo ministro britannico Tony Blair, cioè se aumentassero gli aiuti all'Africa di 25 miliardi di dollari l’anno, «le conseguenze potrebbero essere devastanti. Troppo spesso gli aiuti hanno fatto più male che bene, specialmente in Africa. Hanno ingigantito le élite politiche e tolto potere all’uomo comune».
Erixon confuta alla radice la teoria indiscussa da decenni secondo la quale gli aiuti esteri avrebbero la forza di dare la spinta iniziale a un’economia e rompere così il «circolo vizioso della povertà». In realtà, dice l’economista, «i Paesi non sono poveri perché mancano di strade, scuole o ospedali. Mancano di queste cose perché sono poveri. E sono poveri perché non hanno le istituzioni di una società libera, le quali creano le condizioni di base per lo sviluppo economico». In altri termini, a condannare alla povertà è l’assenza di diritti di proprietà, di leggi e norme, di mercati aperti, di governi onesti e non invadenti, di commercio estero. Gli aiuti, al contrario, hanno due tipi di effetti negativi: spostano l'attenzione dal problema vero, cioè dalla creazione di istituzioni che funzionano; e soprattutto spingono ai margini gli investimenti privati, danno risorse a regimi dispotici per continuare a opprimere, minano la democrazia, perpetuano la povertà.
Qualche esempio nella storia moderna dell’Africa? Tra gli altri, i casi dello Zimbabwe, dell’Uganda, del Congo. Lo studio dell’Ipn - che è stato pubblicato assieme a centri di ricerca di Sudafrica, Hong Kong, India, Ghana, Israele e Nigeria - analizza gli effetti degli aiuti sulla crescita in generale e scopre che sono sempre negativi. E come esempio da seguire porta (a parte Cina e India) il Botswana, il quale si è dato buone istituzioni economiche e ha avuto una bassa «interferenza» di aiuti esteri, con il risultato che il suo tasso di crescita negli scorsi 30 anni è stato «tra i più alti del mondo» e il reddito pro-capite è oggi di ottomila dollari l'anno, contro i meno di mille di molti Paesi africani.
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