il mercato dell'antivigilia
Erano profumati di arance, limoni e mandarini i giorni invernali che andavano dal 13 al 23 dicembre. Le bancarelle, e i negozi, di frutta e di verdura si riempivano di agrumi e di verdure, finocchi, cicorie, cavoli; e dominavano montagne di frutta secca, mandorle, castagne del prete, noci, datteri, nocelline americane, lupini, olive in calce e in acqua. E i pescivendoli, con i loro negozi senza porte nei quali si sentiva ancor di più il freddo dicembrino, si riempivano – fra fasci di luce e, prima ancora, di lampade ad acetilene- di anguille e capitoni e cascate di orate, seppie, cefali,cozze nere, cozze di san Giacomo, canestrelle, pelose, taratuffi, fra serti di alghe, verdi foglie e gialli limoni. E per magnificare tutta quella roba, e invitare la clientela all’acquisto, I venditori vantavano, con colorite espressioni, la merce esposta. Il capitone era annunciato con le insinuanti parole: Jè vive u nuste, jè muerte u vuste”, vale a dire che fresco, freschissimo era il capitone dell’offerente e morto, vecchio, certamente non fresco quello dei concorrenti. E c’erano anche altri significati nascosti, in quell’esaltazione del pesce fresco. In realtà era tutta roba buona, quella messa in vendita, l’autentico ben di Dio. E la fra se del dialettofono, per dare il senso di quella ricchezza, sussurrava che lì stesse Crist’a candà, Cristo che cantava. Per un credente il Cristo che all’improvviso canti sarà indubbiamente l’immensa meraviglia di questo e di quell’altro mondo. Per i nos tri antichi parenti, bersagliati da antica fame, l’opulenza s’incarnava in quella visione.
(Vito Maurogiovanni)
1 commento:
Certo che il Prof. Maurogiovanni é un pittore...
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