01 febbraio 2007

Oggi sul Corriere

Ho letto un articolo interessante di Severgnini sul Corriere di oggi, eccolo qui, cut & paste:


Per i trentenni italiani: «Non c'è più il futuro di una volta»



Beppe Severgnini, "Non c'è più il futuro di una volta". E' una scritta su un muro, riprodotta sulle pagine milanesi del "Corriere", e l'ho ritrovata in internet, utilizzata in tutte le salse possibili. Se è il motto dei trentenni italiani - come pare - non è male. In fondo non è una lamentela: è una constatazione.
Capisco che il Paese non abbia tempo d'occuparsi di questi dettagli: al momento è troppo preso dalle disavventure di un galletto sbranato dalla chioccia dopo aver fatto il pavone ai Telegatti (un'altra prova che l'Italia è un zoo). Però c'è in ballo il futuro di una generazione: forse è il caso di ricordarsene, ogni tanto.

Qual è il problema? Lo sapete: che la flessibilità (necessaria) è diventata incertezza (dolorosa). Il lavoro immobile - e ormai impossile, se non nella fantasia degli ultraconservatori di sinistra - ha lasciato il posto all'otto volante dell'impiego. Su e giù, giù e su, dentro e fuori, sopra e sotto. Uno all'inizio si diverte: ma poi, immagino, vien da vomitare.

Tempo fa, proprio qui, avevo proposto una modifica dell'articolo 1 della Costituzione: "L'Italia è una Repubblica fondata sullo stage". La proposta ha divertito gli interessati, ma è stato un riso amaro. Lo stage - periodo gratuito di lavoro - sta diventando un aiuto stabile che i ragazzi italiani offrono alle aziende. Domanda: ma non doveva essere il contrario?

Del lavoro dei giovani discutono le TV e le radio, i giornali, i forum e i blog, l'università (che di futuro incerto è produttrice instancabile). La "Fondazione del Corriere della Sera" dedicherà all'argomento tre incontri in Sala Buzzati il 6, 13 e 20 febbraio. Sono usciti libri di tutti i tipi: informati, preoccupati, dotti e acuminati, come "Curriculum tipico di un trentenne atipico" (Marsilio). Scrive l'autore, Fabrizio Buratto: "Sono sempre stato un lavoratore atipico, anche quando non ci chiamavano così. Prima 'co.co.co', poi 'co.co.pro', poi 'cu.curu.cu.cu.paloma', poi 'a progetto'. Finito il progetto degli altri, per portare avanti i nostri progetti, dobbiamo cercare altri progetti, senza fare troppi progetti sui progetti altrui, che non sono mai sicuri." E' un buon riassunto. La mobilità, nelle economie di mercato, si compensa: ti do meno sicurezza domani, ma più soldi oggi. In Italia, no. Le retribuzioni sono rimaste uguali: ma prima erano stipendi sicuri, ora compensi occasionali. Le banche vogliono garanzie come vent'anni fa: negozi, ristoranti e servizi applicano prezzi modernissimi (fin troppo). Il popolo dei 1.000 euro (lordi) paga e si svena.

Il guaio di molti trentenni è che non possono fare programmi. L'assunzione blindata è anacronistica. Ma l'alternativa moderna è un terreno scivoloso come la giungla al tempo dei monsoni. Scrive Mauro De Santis (valeriosant@email.it), laureato, 27 anni: "Per ora faccio il pendolare tra Puglia e Lombardia, perché oggi per cercare di lavorare non bisogna porsi limiti territoriali. Ma ho constatato che anche al nord è difficile trovare. Certo, c'è più possibilità, ma dopo molti colloqui mi sembra che siamo in Cina, visto lo stipendio che offrono. A Milano con 600/700 euro si fa la fame." Certo, non per tutti è così. Qualche Sandokan - bravo, svelto, fortunato o protetto (magari queste cose insieme) - dalla giungla esce vincente, e va avanti. Ma quanti sono? La maggioranza non ha sentieri davanti a sé: solo ostacoli, oscurità e occasioni. Vederle al buio, però, non è facile. Si rischia di cadere, picchiare la faccia e farsi male. Come dire: non c'è più il futuro di una volta, e anche il presente lascia a desiderare.

1 commento:

MB ha detto...

il guaio è che conosco anche quarantenni e cinquantenni che non possono fare programmi